L’internal reshuffle, letteralmente la mobilità interna, si fa largo tra gli strumenti chiave per gestire le persone, in un mercato del lavoro caratterizzato da scarsità e infedeltà dei talenti
Tra gli insoddisfatti del loro lavoro c’è chi sceglie la via delle dimissioni. Ma c’è anche chi sceglie la via del quiet quitting, il lento abbandono, un tema difficile da tracciare ma che preoccupa le aziende e chi si occupa di gestione delle persone per gli effetti che può avere sulla produttività. Nel caso delle dimissioni, in attesa di conoscere i nuovi dati che il Ministero del Lavoro renderà noti l’8 marzo, gli ultimi ci dicono che nei primi nove mesi del 2022 le cessazioni richieste dal lavoratore sono costituite in prevalenza dalle dimissioni, pari a 562mila unità, ossia il 17,9% del totale. Di questi il 18,5% sono uomini e il 17,2% sono donne, mentre i pensionamenti, pari a 34mila unità, contribuiscono con una quota minore, poco sopra l’1%. Accanto a chi si dimette perché ha intenzione di cambiare posto di lavoro e spesso ne ha già trovato uno ed è facilmente “tracciabile”, c’è però chi mantiene il suo posto, ma riduce a poco a poco il coinvolgimento e l’impegno. In altre parole la produttività, che nel nostro paese rappresenta da sempre un fattore di debolezza. Per evitare che i lavoratori si lascino andare, riducendo impegno e risultati, proprio in un momento in cui con la diffusione dello smart working il lavoro è sempre più per obiettivi e sempre meno legato alla timbratura del cartellino, nel dibattito internazionale si sta facendo strada il cosiddetto internal reshuffle. Letteralmente potremmo tradurre l’espressione come rimpasto interno. O, per usare una terminologia più tradizionale nelle risorse umane, mobilità interna. Non che sia una novità, ma potrebbe esserlo il modo in cui utilizzarlo. Se in passato è stato più legato a cambi di gestione o turn over, oggi sta diventando un concreto strumento per trattenere le persone e motivarle. Per metterlo in atto evitando l’effetto boomerang serve però un percorso molto strutturato.
L’infedeltà di millennial e genZ
In azienda, soprattutto tra chi ha competenze Stem, molto spendibili nel mercato del lavoro, il massimo grado di “infedeltà” si trova tra millennial (i nati tra primi anni ottanta e metà dei novanta) e generazione Z (18-24 anni) dove una quota maggioritaria, che varia tra la metà e i tre quarti, si dice intenzionata a cambiare lavoro. Facendo riferimento all’ultima ricerca che ha fatto LinkedIn, se consideriamo il dato italiano, più della metà degli intervistati, il 54%, sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, una percentuale che sale al 69% tra la GenZ. Tra le principali ragioni che la GenZ cita come stimolo nel considerare un cambiamento ci sono l’aumento di stipendio (31%), la ricerca di un miglior equilibrio tra vita privata e professionale (29%), il sentirsi più sicuri nelle proprie capacità (29%). La mancanza di opportunità di sviluppo delle proprie competenze e della propria carriera professionale vengono percepiti come un macigno, soprattutto dai più giovani. E questo è un tema da non sottovalutare, come spiega Francesca Verderio, talent acquisition manager di Zeta Service Individua, la business unit di Zeta Service specializzata nella ricerca e selezione di talenti. La via dell’internal reshuffle potrebbe rivelarsi preziosa, ma richiede di impostare un programma con tappe ben precise. «Questo processo è molto sottovalutato dalle aziende ma è in grado di offrire un duplice vantaggio – dice Verderio -. Da una parte aumenta la fidelizzazione e la loyalty del dipendente che viene formato sul nuovo ruolo professionale ma conosce già le dinamiche aziendali. Dall’altra parte le organizzazioni traggono vantaggio dalla legacy verso l’azienda che i talenti mettono in campo, risparmiando tempo e costi nel reclutamento di una nuova risorsa».
La strategia della mobilità interna
Quando ai dipendenti già presenti all’interno dell’organizzazione «viene data l’opportunità di assumere nuovi ruoli e responsabilità possono portare nuove prospettive e idee. Questo può aiutare un’azienda a rimanere innovativa e ad adattarsi ai cambiamenti del mercato», aggiunge Verderio. Il desiderio di una maggiore mobilità interna sarà un fattore chiave per favorire la fidelizzazione dei talenti in un mercato del lavoro dove i numeri delle dimissioni ci dicono che molti vogliono cambiare lavoro e nello stesso tempo il talent shortage è molto elevato, soprattutto in ambito tecnologico. Questo processo chiede però una serie di accorgimenti per evitare scontri interni e danneggiare il morale del team, ottenendo un risultato ancora peggiore. «È chiaro che i dipendenti coinvolti nel loro lavoro rimarranno in azienda più a lungo, riducendo i costi di reclutamento e formazione di nuovi dipendenti. Per questo sarebbe molto riduttivo vedere la mobilità interna come quel processo che sposta i dipendenti da un reparto all’altro – interpreta Verderio -. È una metodologia che dovrebbe includere anche il ripensamento di come sono strutturati i lavori e abbracciare la flessibilità riguardo alle responsabilità lavorative».
Il vademecum in 7 punti
Un vademecum in sette punti può però aiutare a fare della mobilità interna uno strumneto prezioso per trattenere le persone. Il primo è sicuramente il percorso. «Ogni ruolo all’interno dell’organizzazione dovrebbe avere percorsi chiari verso lo sviluppo futuro delle proprie competenze professionali. I dipendenti dovrebbero essere in grado d’identificare le loro prossime opportunità all’inizio della loro carriera per creare piani di sviluppo con i manager». Il secondo è l’assessment che consente una valutazione complessiva del personale sulle competenze e sulle carenze presenti all’interno dell’organizzazione. Il terzo è il riconoscimento delle storie di successo, premiando i dipendenti che sono riusciti positivamente a ricoprire nuovi ruoli all’interno dell’azienda e condividere le loro storie per ispirare gli altri. Il quarto è l’uso della tecnologia per facilitare la mobilità interna, utilizzando bacheche di lavoro interne, portali self-service per i dipendenti e altri strumenti digitali per aiutare i dipendenti a trovare e candidarsi per ruoli all’interno dell’azienda. Ci sono poi i programmi di formazione e sviluppo delle competenze per consentire ai lavoratori di acquisire nuove conoscenze e, allo stesso tempo, accrescere l’engagement nei confronti dell’organizzazione. C’è poi la cultura della mobilità che prevede di comunicare l’importanza della mobilità interna e di assicurarsi che i dipendenti siano consapevoli delle opportunità a loro disposizione all’interno dell’azienda e che comprendano i vantaggi (sia finanziari, sia altre tipologie di benefit) per perseguire tali opportunità. Infine occorre assicurarsi che i manager siano consapevoli delle capacità e dell’esperienza di chi fa parte dei loro team e cerchino attivamente opportunità per sfruttare quel talento all’interno dell’organizzazione: la spinta verso la mobilità interna deve infatti venire dall’alto.